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Recensione: “Emily Dickinson e i suoi giardini”, di Marta McDowell

L’inizio della Primavera è un periodo d’osservazione.

Il personaggio di Emily Dickinson da sempre è ammantato da una bruma di invalicabilità: la straordinaria bellezza della sue poesie, l’evocazione dei suoi versi e le profonde immagini che i suoi testi restituiscono al lettore pagano il prezzo di una biografia scarna e lacunosa, che lascia tuttavia spazio all’immaginazione e alla speculazione. Per coloro che hanno incontrato la penna della Dickinson non sarà nuovo il rimando – e, insieme, la connessione – che la scrittrice aveva nei riguardi della Natura. Ecco perché lo splendido volume “Emily Dickinson e i suoi giardini. Le piante e i luoghi che hanno ispirato l’iconica poetessa”, curato da Marta McDowell e tradotto per L’Ippocampo da Claudia Valeria Letizia, rappresenta un felice connubio e, al contempo, un omaggio devoto alla poetessa delle piccole cose.

Insieme al bosco troviamo la palude e il fango: ninfee e calte palustri, sagittarie e coda di cavallo amano tutti le zone umide. Bisognerebbe inoltrarsi tra l’erba alta per accompagnarla nel campo a cogliere l’asclepiade tuberosa e la verga d’oro. E alcune piante sbirciano nella radura dai margini della foresta, dove il sottobosco ospita alloro di montagna e sambuco, rigogliosi entrambi in un terreno ricco di nutrienti e parzialmente ombreggiato.

L’autentica passione di Emily Dickinson per la botanica e il mondo vegetale – che si esplicherà meravigliosamente anche nel suo rinomato e accuratissimo Herbarium – risulta un ponte rigoglioso tra la sua anima e il suo inchiostro: nella poetica dell’autrice la Natura e le sue dimensioni assumono un valore che scavalca il metaforico, trasformandosi in anima, sensazione, lucida emotività. “Emily Dickinson e i suoi giardini” ci prende per mano e, conducendoci tra un salto poetico e un tuffo verdeggiante, ci regala suggestioni stagionali, piccoli cenni, risvolti concreti per approfondire la Fantasia della poetessa, i suoi legami, il suo abbandono.

Emily amava il giardino colorato. Una volta scrisse della “zinnia più bella del mio giardino purpureo”. I suoi fiori avevano tutti i toni dell’iride, ma a quanto pare preferiva quelli tendenti al freddo: rosa e azzurro, viola e lavanda, più il bianco per contrasto.

L’edizione proposta da L’Ippocampo – come spesso accade quando si ha a che fare con questa realtà editoriale – ha inoltre la pregevolezza di una cura grafico-estetica che rende il volume ancora più gradevole: tavole, disegni e inserti trasformano “Emily Dickinson e i suoi giardini” in un’esperienza multisensoriale capace di trasportare il lettore tra i fili d’erba, nell’evoluzione delle stagioni, lungo lo spontaneo arco di vita di un’autrice immortale.

Nel giardino crescono ancora molte piante che Emily conosceva: a primavera le peonie continuano a metter fuori dal terreno il loro nasetto rosso e i lillà, arbusti antichi, fioriscono ogni anno continuando ad attirare i bombi. L’ultima volta che ho lavorato nel giardino del museo, le monarca gravitavano intorno all’asclepiade in due versioni: sotto forma di farfalle che suggevano il nettare dai fiori e nelle sembianze di un bruco che ne mangiucchiava le foglie. Creature ignare di metafore, ma prove tangibili di metamorfosi.

Matteo Zanini

Titolo: Emily Dickinson e i suoi giardini
Sottotitolo: Le piante e i luoghi che ispirarono la grande poetessa
Titolo originale: Emily Dickinson’s Gardens: A Celebration of a Poet and Gardener
Autore: Marta McDowell
Traduzione a cura di: Claudia Valeria Letizia
Casa editrice: L’Ippocampo
Prezzo: € 19.90
Pagine: 268