Oggi mi sento...,  Recensioni

Oggi mi sento… violato

La diffusione non consensuale di materiale sessualmente esplicito, chiunque ne sia offeso, costituisce una vera e propria forma di abuso sessuale.

Un cancro della società contemporanea, un male invisibile che viene spesso ignorato è strettamente legato all’utilizzo improprio delle tecnologie, dei nuovi media, dei social network, degli strumenti informatici e di comunicazione digitale che – se da un lato permettono una connessione e una vicinanza che, spesso, può dirsi salvifica – se posti nelle mani sbagliate possono causare pesanti danni, talvolta persino irreversibili. È quello che viene raccontato da Francesca Florio – dottore magistrale in giurisprudenza e divulgatrice digitale in materia di diritto – in “Non chiamatelo Revenge Porn”, ed. Mondadori.

Se il titolo del volume è chiaramente provocatorio, la vera natura del problema legata alla diffusione non consensuale di materiale intimo e pornografico sta, invece, nel sottotitolo scelto dall’autrice – Storie di vittime presunte colpevoli. Ebbene sì, perché quello che accomuna le vittime del Revenge Porn è proprio il senso di colpa, la sensazione di appartenere alla sfera della colpevolezza, il forte, insinuante dubbio di esserselo meritato. È il perverso meccanismo manipolatorio del carnefice ad alimentare la domanda, a spingere la parte lesa in una spirale discendente, a condurre inspiegabilmente all’autolesionismo, all’autoaccusa, alla vergogna (Martina, trattenendo le lacrime, abbassa la testa e accelera il passo. Si vergogna, ma non sa per che cosa.). Solo chi è davvero colpevole prova vergogna: ecco su cosa fa leva l’oppressore.

In “Non chiamatelo Revenge Porn”, Francesca Florio racconta cinque storie diverse – eppure tutte vere e agghiaccianti. Storie di ragazze e ragazzi dati in pasto a un’orda di orchi depravati senza che ne fossero né coscienti né concordi; vittime punite per il semplice fatto di aver ceduto di fronte a un fittizio atto d’amore, “colpevoli” di aver amato a loro volta, a loro modo, lasciandosi andare, fidandosi della controparte, illuse dall’idea di essersi finalmente meritate una lieve dose di calore, di complicità. Anime perse, usate e abusate, distrutte, salvate in extremis; vite mutate per sempre, sguardi bassi e svuotati, terapie prescritte per curare il vuoto.

Il tradimento di atto d’amore genera conseguenze irrimediabili. Quando vi si aggiungono la violazione dell’intimità, la diffusione di materiale esplicitamente intimo, la mercificazione del corpo, la consapevolezza di non essere più al sicuro – spesso nemmeno tra le pareti di casa – i danni e gli strascichi possono essere compresi e condivisi soltanto da chi ha, sfortunatamente, sperimentato una situazione di tale sorta. “Non chiamatelo Revenge Porn” è, a mio avviso, un passo importante: il lavoro proposto da Francesca Florio racconta che il fenomeno è – ahinoi – più diffuso di quanto non si pensi, non guarda in faccia a età, sesso, orientamento sessuale, provenienza sociale. Siamo tutti potenzialmente vittime presunte colpevoli; mettere in luce storie di questo genere può portare alla speranza di provvedimenti più seri, tutele maggiori, stigmi ridotti e, sebbene questa sia una sorta di utopia, la conclusione di questa pratica becera, brutale, cattiva.

Kyle e Tom sono usciti di prigione, hanno pagato il loro debito con la giustizia e sono caduti nel dimenticatoio. Molte delle loro vittime, invece, non hanno avuto accesso allo stesso privilegio: le immagini che le ritraggono in momenti di intimità, infatti, nonostante la dismissione del sito, sono ancora conservate negli hard disk, nelle pennette USB e nei drive di un numero indeterminabile di persone.

Il mio voto:

Matteo Zanini

Titolo: Non chiamatelo Revenge Porn
Sottotitolo: Storie di vittime presunte colpevoli
Autore: Francesca Florio
Casa editrice: Mondadori
Prezzo: € 18.00
Pagine: 187