Recensione: “La fonte della vita”, di Bergsveinn Birgisson

Questa è la mia esperienza con gli uomini, non capiscono che cosa è importante.

Ci troviamo verso la fine del Settecento, in Danimarca, quando il protagonista de “La fonte della vita” – Magnús Árelíus, di cui seguiremo ogni vicissitudine esperienziale e morale – si trova a essere scelto per una missione il cui scopo ultimo sarà la deportazione degli abitanti dell’Islanda al fine di impiegarli nella nascente realtà industriale di Copenaghen. Lo spostamento territoriale e l’avvicinamento alla meta, descritte quasi rappresentassero un resoconto storico (in tal senso, risulta riconoscibilissimo lo stile narrativo che caratterizza i testi di Bergsveinn Birgisson), apriranno, a partire dalla seconda metà del romanzo, la strada a un’investigazione interiore più profonda che lascerà in sospeso per buona parte delle pagine a seguire la superficialità pratica dei primi capitoli.

Esisto perché la mia storia non venga dimenticata, perché ciò che la gente teme non venga dimenticato. Sono l’ombra nella notte, che non trascorre finché la mia storia si ripete. Sono l’immagine della verità. Della coscienza della gente. Del senso di colpa. Vivo dentro le persone. Vivo fuori dalle persone. Mi infilo nelle fessure ed esco dai nodi del legno sull’altro lato. Do colore al quotidiano. Innalzo la colonna infame dell’oblio. Credi che io sia un’ascia, per questa violenza contro la negazione? In realtà sono un fiore. L’eufrasia delle cenge montagne, sono, e la resilienza nei tendini del popolo. Le mie radici sono più forti del ferro. La mia natura è quella di cui possiede la sensibilità del poeta che rifiuta di morire.

Ecco che, come risvegliato dopo un sonno permeato da un’avvolgenza soporifera e deviante, Magnús Árelíus avrà l’opportunità di comprendere – e, insieme, di comprendersi – sperimentando la preziosità del suo viaggio, trasformando il proprio itinerario in un itinerario di maturazione, in un viaggio di formazione, nell’iniziazione alla vita tangibile, all’accoglienza dell’altro da sé. Bergsveinn Birgisson somma l’esperienza territoriale a una concreta educazione alla cultura straniera unendola, come spesso accade nei romanzi editi Iperborea, all’accorto focus sull’imprescindibile – quanto, spesso, sottovalutato – rapporto uomo-Natura: ne “La fonte della vita”, infatti, pulsa l’idea che le radici – delle piante, ma anche della nostra umana specie – possano rimanere ancorate saldamente a un incipit, ma venga loro concessa sempre la possibilità di allungarsi verso limiti imprevisti.

Ma non lo capisce, la gente, che la Natura tutta è una metafora per ciò che si agita nel cuore umano?

Il viaggio di Magnús Árelíus – e il nostro viaggio in sua compagnia – avrà un termine, come un termine lo avrà anche il romanzo. E sarà nel congedo e nella ricollocazione che le questioni etiche, le domande interiori circa i ruoli sociali, i poteri forti e la giustizia faranno da rumore di sottofondo al chiudersi dell’ultima pagina.

È possibile classificare un guazzabuglio?

Il mio voto:

Matteo Zanini

Titolo: La fonte della vita
Titolo originale: Linfandilífslækur
Autore: Bergsveinn Birgisson
Casa editrice: Iperborea
Prezzo: € 18,00
Pagine: 317