Recensione: “Le città di carta”, di Dominique Fortier

È molto tempo ormai che abita nella sua casa di carta. Non si possono avere al contempo la vita e i libri – a meno di scegliere i libri una volta per tutte e di metterci dentro la propria vita.

La biografia di Emily Dickinson è nebbiosa, forse proprio perché la sua stessa figura è stata restia nei confronti del mondo. Ciò che Dominique Fortier fa, nella sua appassionata ricostruzione che possiamo apprezzare grazie a Le città di carta – ed. Alter Ego edizioni – è recuperare la figura della poetessa americana e presentarcela nella sua semplice umanità, nella sua evasiva condizione, nella sua appassionata relazione con gli elementi delle sue emozioni: l’inchiostro e la carta. Dominique Fortier racconta della crescita emotiva e creativa di Emily Dickinson con grazia, raffinatezza e sentimento, lasciandosi trasportare – e trasportandoci insieme a lei – tra i battiti impercettibili e le visioni oniriche che hanno alimentato la scrittura, il pensiero e la sofferenza intima della donna che si cela tra i versi immortali.

Emily, lassù nella sua stanza, scrive una lettera a una persona che non esiste. Se ha abbastanza talento, finirà per apparire.

Quelle che affrontiamo durante la lettura de Le città di carta sono pagine cariche d’emotività, di commozione, di estrema empatia. Insieme a Dominque Fortier conosciamo – quasi come ce l’avessimo davvero dinnanzi – una poetessa la cui potenza prende vita dalle forme più semplici della Natura: i giardini, i fiori, i piccoli animali. In perpetua connessione con gli elementi naturali, la forma letteraria di Emily Dickinson assume i toni, i suoni e il gusto della purezza spontanea, dell’ingenuità meno costruita, della rassegnazione matura che consente alle anime nobili di rivalutare il concetto e la preziosità dell’accontentarsi.

Pagine che percorrono un’intera vita, il compromesso costante tra l’ordinaria quotidianità e la straordinaria compresenza del mondo che germoglia tra la fantasia della poetessa, nelle sue visioni, nella dimensione estasiata con cui un Artista riesce a osservare il mondo, in solitudine, senza essere – spesso – capito. Le città di carta è un volume prezioso, che mi ha sinceramente emozionato: coinvolgimento, immedesimazione, complicità sono tutte sensazioni che pulsano dalla prima all’ultima riga e che, effettivamente, trovano una propria concretizzazione nei versi di Emily Dickinson che, ancora oggi, possiamo leggere. Dominique Fortier porta alla luce una biografia affettuosa, immaginifica, certo, ma non meno potente o apprezzabile. Un libro intriso d’oro e di lacrime, delicato e – insieme – poderoso, fragile e carezzevole come i petali dei fiori che, sin da piccola, Emily Dickinson scelse di avere come perfetti compagni di vita e di poesia.

Si narra che inizialmente avesse limitato le visite in paese per poi rimanere segregata in giardino, prima di non allontanarsi più da casa e poi dal secondo piano, e che infine avesse eletto domicilio nella sua stanza, da cui usciva solo in caso di estrema necessità. Ma in realtà, già da tempo viveva in uno spazio ancora più piccolo: un pezzo di carta grande come il palmo della mano. Nessuno avrebbe potuto portargliela via, quella casa lì.

Il mio voto:

Matteo Zanini

Titolo: Le città di carta
Titolo originale: Les villes de papier
Autore: Dominique Fortier
Casa editrice: Alter Ego edizioni
Prezzo: € 16,00
Pagine: 187